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STATO, NAZIONE E DEMOCRAZIA

Marcello Montanari, Studi su Gramsci. Americanismo, democrazia e teoria della storia nei Quaderni del carcere, Lecce, Edizioni Pensa Multimedia, 2002, pp. 215

STATO, NAZIONE E DEMOCRAZIA

Di Guido Liguori

Marcello Montanari ha raccolto in questo volume (Studi su Gramsci. Americanismo democrazia e teoria della storia nei Quaderni del carcere, Lecce, Edizioni Pensa Multimedia, 2002, pp. 215) otto saggi dedicati a Gramsci, sei dei quali già editi, scritti in un arco di tempo che va dal 1987 al 2001. L’arco di tempo in questione è molto lungo, ma va detto che tra il primo, e più ampio, degli scritti qui compresi, pubblicato nel 1987 su Critica marxista, e il secondo di essi trascorrono dieci anni: la gran parte dei contributi sono quindi racchiusi nell’ultimo lustro. L’autore ha inoltre premesso al volume una interessante Introduzione, a cui ha posto un titolo felicemente polemico e

non scontato: Gramsci inattuale. Dove la «inattualità» del lascito gramsciano cui allude Montanari mi sembra sia interpretabile da un lato - all’interno della storia delle interpretazioni gramsciane - come rifiuto della lettura largamente diffusa negli ultimi vent’anni di un Gramsci organicista e totalitario (laddove per Montanari la teoria politica dei Quaderni, a partire dal concetto di egemonia, è invece squisitamente democratica e poliarchica); e, dall’altro, come inattualità rispetto all’esistenzialismo, alle filosofie della crisi e della Vita, laiche e cattoliche, dominanti nel Novecento, che «hanno rappresentato il bisogno di decostruire o trascendere le Forme» (e a cui l’autore giustamente obietta: «Ma quale Vita è possibile senza Forme?»).
Molti sono i temi gramsciani affrontati nel volume con ricchezza di spunti e suggerimenti ermeneutici a volte davvero non convenzionali: dal tema del Soggetto a quello del partito, dal rapporto con Weber all’interpretazione di Machiavelli, dalla lettura gramsciana del Risorgimento alla «quistione meridionale», dall’americanismo al fascismo, e dunque alla centralità della categoria di «rivoluzione passiva», e altri ancora. Nell’impossibilità ovvia di affrontarli tutti, mi limiterò qui a discutere soprattutto uno degli assi centrali del ragionamento di Montanari: la problematica della democrazia e della crisi dello Stato-Nazione. Privilegiando l’Introduzione, cioè il testo più recente, e vedendo se a partire da essa non si possano anche cogliere - insieme alle costanti, ben presenti - anche elementi di evoluzione nello stesso discorso dell’autore rispetto ai saggi precedenti qui raccolti e anche alla discussa Introduzione all’antologia di testi gramsciani Pensare la democrazia, apparsa nel 1997.
Rispetto dunque alle precedenti indagini sul tema della democrazia in Gramsci, Montanari afferma esplicitamente di avere in passato «trascurato il fatto che il tema della democrazia, che attraversa l’intera riflessione gramsciana, abbia il suo fuoco teorico-politico nella proposta della Costituente» (p. 10), intesa come mezzo «per avviare una nazionalizzazione democratica delle masse». È un tema che rimanda - sottolinea giustamente Montanari - a una società civile «vertebrata», cioè non concepita in modo liberale (atomistico), ma come «sistema complesso di “corporazioni private” (partiti, sindacati, ecc.) che organizzano i cittadini e, togliendoli dalla loro anomia, li rendono partecipi delle fondamentali scelte che attengono alla vita nazionale» (idem). Se in Italia, col Risorgimento, lo Stato-Nazione si era formato senza il popolo, «è alla Costituente che si affida il compito di re-innervare lo Stato sulla Nazione» (p. 11). In altre parole, nella proposta gramsciana di Costituente l’autore vede la proposta di una lotta per l’egemonia in una realtà poliarchica, pur restando vero che la democrazia gramsciana seguita ad avere come fine il «superamento della scissione del genere umano in dirigenti e diretti» (p. 13).
Impostata in questi termini, la questione mi sembra del tutto condivisibile. Che la categoria di egemonia contenga in sé le potenzialità per una lotta (per il socialismo) nella democrazia è indiscutibile, anche se non saprei quanto in Gramsci ciò fosse esplicitato. Si può tuttavia estrapolare agevolmente da tale categoria l’accettazione di un sistema poliarchico (cioè pluralistico, democratico come correntemente viene oggi inteso), tenendo fermo che per Gramsci la democrazia è anche altro e di più, è appunto quel tendenziale superamento della distinzione dirigenti-diretti che l’autore richiama. La tematica della Costituente rappresenta probabilmente il momento più avanzato nella direzione indicata, anche se non va dimenticato che essa non ebbe, per diversi motivi, una tematizzazione all’altezza della sua importanza.
Anche l’idea di una società civile «vertebrata», ben distante rispetto a quella propria della tradizione liberale, è esatta e offre - nella formulazione di Montanari - suggestioni e spunti importanti. Credo che non si sbagli se si afferma che il riferimento al «sistema complesso di “corporazioni private” (partiti, sindacati, ecc.)» rimanda alla peculiare traduzione che delle indicazioni gramsciane seppe fare Togliatti, e che si ritrovano in buona parte nella lettera e ancor più nello spirito della Costituzione italiana del 1948: è la democrazia come democrazia dei partiti, democrazia organizzata, in cui i partiti sono i tramiti e i garanti del rapporto tra Stato e società civile, dialetticamente intesi. Come non ricordare a questo proposito la suggestiva, pur se forse filologicamente discutibile, lettura di Hegel avanzata da Gramsci nella nota 47 del Quaderno 1, intitolata appunto Hegel e l’associazionismo?
Altri due punti di questa Introduzione agli Studi su Gramsci vorrei brevemente richiamare, prima di tornare sul nesso democrazia-Stato-Nazione alla luce dei precedenti scritti dell’autore. In primo luogo, la polemica di Montanari contro la tesi (di Bobbio e della sua scuola) delle «dure repliche della storia» che avrebbero definitivamente sancito il fallimento del marxismo. La filosofia della prassi - sostiene l’autore - da un lato respinge ogni storia a disegno, dall’altra non si identifica con alcun tipo di normativismo (p. 16). Non vi sono ideali o valori universali a priori, poiché la filosofia viene «dopo», dopo i fatti, dopo la prassi, dopo «l’opera». «Il primato, dunque, è nell’opera, non nella filosofia, che può preparare, ma non anticipare o prevedere il divenire e il risultato dell’opera medesima» (idem).
In secondo luogo, vorrei valorizzare una affermazione che Montanari fa nell’Introduzione in merito all’americanismo, quando scrive che Gramsci «ha saputo assumere l’americanismo come figura storicamente determinata dell’Universale; figura colta nella sua potenza razionale ed egemone, ma anche nei suoi limiti espansivi e nella sua caducità» (p. 16). È una precisazione che mi pare rilevante, perché spesso da parte di molti autori vi è la tendenza a sottolineare unilateralmente la valorizzazione che nei Quaderni viene fatta dell’americanismo, senza cogliere la contestuale critica che sul suo stesso futuro Gramsci avanza. Sbaglio se dico che anche alcune affermazioni dell’autore - contenute in questi «studi» ma anche e soprattutto nella citata Introduzione a Pensare la democrazia - possono essere lette in questo modo e sembrare dunque unilaterali? Si pensi anche alla differenza tra americanismo e bolscevismo, posta in un saggio del 1997, qui compreso; per Montanari, essa sarebbe individuabile «nel fatto che l’americanismo genera una forma non-statalistica di direzione dell’economia» (p. 67). A me sembra invece che a monte di ciò la differenza sia stata data dal tentare o meno quella che Montanari stesso chiama «la demercificazione della forza-lavoro». È una differenza che non può essere messa tra parentesi. Il che non vuol dire chiudere gli occhi davanti agli errori e gli orrori, ma anche - per quel che qui interessa - collocare sempre Antonio Gramsci nel contesto storico e ideale in cui visse, nello schieramento politico di cui si sentiva parte e a cui a mio avviso, fino alla fine, sia pure con una ricerca e una proposta teorico-politica quanto mai originale e innovativa, si sentì legato.
Ma torniamo alla questione qui assunta come centrale, quella che ruota intorno al costituirsi e alle prospettive dello Stato-Nazione. Nel saggio del 1987 Montanari scriveva che la classe è dirigente «se sa trasformare nazionalismi, particolarismi e municipalismi in una prospettiva che oltrepassa lo Stato-Nazione» (p. 26). Ma sempre ricordando che tale discorso va fatto «senza impazienze», aggiunge l’autore richiamando il celeberrimo passo dei Quaderni in cui Gramsci scrive che «lo sviluppo è verso l’internazionalismo, ma il punto di partenza è “nazionale” ed è da questo che occorre prendere le mosse». Dunque, la forza-lavoro può demercificarsi solo su scala sovranazionale - sono parole di Montanari -, ma a partire da un dato di fatto in cui la realtà nazionale costituisce un punto di partenza niente affatto evanescente e sopprimibile con un puro atto volontaristico.
Se questa impostazione a me sembra sostanzialmente giusta, devo ammettere che mi sembra che altre affermazioni di Montanari siano poco compatibili con essa e con l’impostazione «togliattiana» che mi è sembrato di poter desumere dall’Introduzione. Le mie perplessità riguardano schematicamente soprattutto due punti:
a) l’insistenza sulla crisi dello Stato-Nazione, crisi che data per l’autore dalla prima guerra mondiale, dunque - potremmo dire - contraddistinta più che altro da una agonia senza fine. Voglio dire che si è parlato tante volte, reiteratamente, di crisi dello Stato-Nazione, nel corso del Novecento e anche prima, e ancora di più se ne parla oggi, di fronte ai processi di globalizzazione. Si perde spesso, a mio avviso, in questo ambito, quell’atteggiamento realistico che non deve contemperare impazienze che lo stesso Montanari richiama citando Gramsci. Il quale era appunto convinto - da comunista - che il punto d’arrivo fosse «internazionale» (un internazionalismo, è auspicabile, in cui le differenze anche nazionali non siano soppresse, ma imparino a convivere dandosi ricchezza reciproca), ma che - nell’ambito del pensiero e del movimento comunista - è stato a mio avviso fra coloro che meno hanno ceduto di fronte alle sirene del «cosmopolitismo», non a caso una categoria tra le più negative dei Quaderni. («Cosmopolita» in quanto rivoluzionario astratto, per Gramsci, è ad esempio Trockij. Ma «cosmopolita» è stata anche, a lungo, la politica dell’Internazionale comunista tutta, quando pretendeva che le diverse «sezioni nazionali» facessero «come in Russia», senza quella «ricognizione del terreno nazionale» - il lavoro dei Quaderni - preventiva rispetto a qualsiasi azione politica efficace).
Forse è in parte vero che in Gramsci vi sia l’«impossibilità, per il movimento operaio, di utilizzare lo strumento dello Stato-Nazione per trascendere la propria dimensione economico-corporativa» (p. 29): nei Quaderni troviamo dei giudizi molto negativi su alcune esperienze «keynesiane» (del resto appena agli inizi), collegate senza residui alla loro funzione di sostegno all’economia capitalistica. Mi sembra però errato trarne (come l’autore fa) la conclusione che lo Stato possa solo essere strumento della borghesia e non del processo di «demercificazione della forza-lavoro e [di] liberazione dell’intera umanità» (idem). Il problema è quello dell’analisi della fase storica in cui si vive: quando Gramsci pensa la Costituente, ad esempio, pensa a un tempo storico che non è certo quello della società comunista. E lo stesso Togliatti nel dopoguerra. Tutti hanno poi sotto gli occhi in quale epoca si viva oggi. b) Per Montanari è proprio di fronte alla crisi dello Stato-Nazione che Gramsci recupera l’idea di democrazia (p. 61: siamo ormai nei saggi dell’ultimo lustro). Gramsci cioè giungerebbe «alla convinzione che l’idea moderna di democrazia trascende la figura dello Stato-Nazione» (p. 95). A me sembra l’opposto: non solo è oggi ancora del tutto irrisolto il problema di come sia possibile una forma di rappresentanza democratica al di fuori dell’ambito statuale, ma lo stesso Montanari scrive oggi, come si è detto, nell’Introduzione al volume che «è alla Costituente che [Gramsci] affida il compito di re-innervare lo Stato sulla Nazione» (p. 11). Il comunista sardo elabora cioè una strategia per la quale democrazia e Stato-Nazione sono strettamente connessi, almeno per tutto un periodo storico. Ne consegue che l’affermazione che Montanari fa, per cui la società civile «si viene sempre più strutturando […] in associazioni e corporazioni democratiche, e sempre meno può essere ristretta nel solo orizzonte “statale nazionale”» (p. 112), appare scarsamente attinente al lascito gramsciano. È vero che vi sono correnti (soprattutto in ambito anglofono) secondo cui il concetto di «società civile internazionale» ha in Gramsci uno dei padri principali. Ma non solo questa tesi mi pare del tutto infondata.
Soprattutto (per quel che qui importa) essa cozza con la «strategia della Costituente», col suo volere «re-innervare lo Stato nella Nazione». Il movimento comunista, del resto, ha sofferto molto a causa del suo «cosmopolitismo», della sottovalutazione infantile della questione nazionale, data già tanti anni fa per ormai superata, liquidata, inattuale. Non mancano oggi sirene che sembrano condurre nella stessa direzione, mentre in tanti angoli del mondo il problema della nazione, della conquista di uno spazio nazionale, della difesa delle identità nazionali, si dimostra invece ancora drammaticamente attuale.
Sono problemi di grande portata, che è ovviamente impossibile affrontare compiutamente in una semplice recensione. Come il lettore avrà capito facilmente, gli stimoli che vengono dal libro in questione sono molti e molto importanti. Non è infondata la speranza che su essi si possa continuare la ricerca e il dialogo, ai quali non da oggi il lavoro di Montanari ha dato e dà un apporto importante e rispetto a cui questo volume - e in particolare la sua Introduzione - offrono materiale nuovo di riflessione.

Indice del volume:
Introduzione. Gramsci inattuale
Razionalità e tragicità del moderno
Verso la democrazia. Osservazioni su etica e politica
Crisi dello Stato e crisi della modernità
Costituzione dei soggetti e tempo storico nell’età dell’americanismo
Dall’individualismo all’economia programmatica
Analisi del fascismo e storia d’Italia
L’unità d’Italia e la “quistione meridionale”
La finalità etico-sociale del partito politico