Recensioni

"GRAMSCI IN CARCERE" - MICHELE PISTILLO

Michele Pistillo, Gramsci in carcere. Le difficili verità d'un lento assassinio, Roma-Bari-Manduria, Piero Lacaita Editore, 2001, pp. 173

"Gramsci in carcere" di Michele Pistillo

Di Guido Liguori

La ricerca sulla vita di Antonio Gramsci è uno degli aspetti su cui si è maggiormente appuntata l'attenzione negli studi sul comunista sardo degli ultimi dieci-quindici anni. Da una parte è maturata la convinzione che molti aspetti della sua vicenda biografica non fossero sufficientemente chiari, al contrario di quanto è stato ritenuto per molto tempo. Dall'altra, il mutamento della situazione in Unione Sovietica già ai tempi di Gorbaciov e poi, in maniera anche più accentuata, con la fine dell'Urss, ha offerto nuove

possibilità d'indagine negli archivi moscoviti, evidentemente di grande importanza per la storia del movimento comunista internazionale.
Si tratta di una direzione di ricerca importante e da seguire con attenzione: lo scavo archivistico, dei fatti di cui Gramsci fu parte e che spesso presentano aspetti non del tutto facili da chiarire, la disponibilità di nuovi documenti, hanno permesso di gettare nuova luce su alcuni passaggi-chiave della vicenda tormentata dell'autore dei Quaderni, vicenda che incontra e contribuisce a chiarirne l'elaborazione teorica.
Non sono mancate forzature, in questo lavoro di scavo biografico. Né opzioni interpretative molto discutibile, in particolare sull'intricata vicenda del 1926 (lo scontro con l'Internazionale e con Togliatti; l'arresto) e su tutto il periodo del carcere. Sono questi i temi su cui interviene ora nuovamente Michele Pistillo (già autore di alcuni saggi e anche volumi sull'argomento) con il suo ultimo libro: Gramsci in carcere. Le difficili verità d'un lento assassinio (Roma-Bari-Manduria, Piero Lacaita Editore, pp. 173), in un lavoro interessante perché fa il punto sulle più recenti acquisizioni storiografiche e intraprende una polemica puntuale e documentata su alcuni miti e leggende che hanno avuto qualche (immeritata) fortuna nell'ultimo decennio di studi gramsciani. Partiamo dal nodo del 1926. Negli anni ottanta lo scambio epistolare tra Gramsci e Togliatti, il contrasto duro che vi fu, cristallizzato poi dall'arresto di Gramsci e dalla forzata interruzione della dialettica interna al gruppo dirigente dei comunisti italiani, divenne il pretesto per un attacco, mosso con finalità politiche immediate, all'intera tradizione politico-culturale del Pci, tendente cioè a separare un Gramsci antistalinista e destinato a "confluire" nel partito socialista (secondo una fantasiosa ricostruzione, negli anni del carcere egli del Psi avrebbe persino preso la tessera!) da un Togliatti piegato da allora in avanti ai voleri di Stalin. Falsità di ogni tipo, ricostruzioni pseudostoriografiche, una massiccia campagna di stampa giornalistica, "costruirono" una "verità" immediatamente spendibile sul piano politico. Ebbene, i documenti più recenti, di cui anche Pistillo dà conto, testimoniano come, nell'ambito di una dialettica interna al gruppo dirigente comunista italiano, aspra ma non distorta, Togliatti agì correttamente, chiedendo e ottenendo dalla segreteria del suo partito il permesso a non presentare la celebre lettera scritta da Gramsci, in data 14 ottobre, a nome del Pcd'I al partito comunista dell'Unione Sovietica. Togliatti aveva opinioni diverse da quelle di Gramsci e della segreteria italiana, e chiedeva di aspettare a prendere posizione per discutere tutta la questione con l'inviato del Comintern in Italia. Lo scontro fu aspro, come è testimoniato dalla seconda lettera gramsciana, scritta a titolo personale. Ma tutti i castelli polemici costruiti sul subdolo rifiuto di Togliatti che avrebbe meschinamente disubbidito alle direttive del suo partito, e si sarebbe rifiutato di consegnare la lettera ai vertici del partito bolscevico, cadono completamente e si disegna tutto un altro scenario. A parte questo, emerge dal lavoro di Pistillo come la rottura tra i vertici del Pcd'I e Togliatti (che rappresentava il partito a Mosca) non avvenne solo e tanto sugli aspetti della "forma" che assumeva la lotta ai vertici del Pcus - su questo le considerazioni gramsciane continuano ad avere a mio avviso tratti "profetici" di ineguagliabile spessore - quanto sui problemi politici di quella fase, che vanno ricostruiti tenendo conto della dinamica politica che si sviluppa lungo tutto il 1926. A tal proposito va detto che per Gramsci e il Pcd'I la "stabilizzazione relativa" del capitalismo (la formula con cui allora i comunisti indicavano la non attualità della rivoluzione) stava per finire (si veda ad esempio la celebre riunione del Direttivo del 2-3 agosto 1926), anche in Itala: la crisi del capitalismo si acuiva, le contraddizioni del fascismo pure, si riapriva una prospettiva rivoluzionaria, anche se non destinata a sfociare immediatamente in una rivoluzione di tipo socialista e soviettista. I comunisti italiani - fatta eccezione per Togliatti - partivano dunque da un madornale errore di valutazione, alla vigilia del salto di qualità che avrebbe portato il fascismo a consolidarsi in dittatura, con l'inaspettata messa fuori legge del partito e lo stesso arresto di Gramsci, il quale costruirà i suoi Quaderni proprio come ripensamento e autocritica sulla sconfitta catastrofica patita dal movimento operaio italiano.
Nessuna rottura senza ritorno, dunque, tra Gramsci, Togliatti e l'Internazionale, ma un dibattito aspro, spiegato dal momento drammatico, un dibattito in cui ragioni e torti non stanno tutti da una sola parte. Del resto, come nota Pistillo, né Gramsci né altri furono in realtà "perseguitati" per le posizioni assunte in quel frangente storico. Gramsci, innanzitutto, non fu certo consegnato al carcere dai suoi compagni, come pure da qualche parte è stato ventilato (ancora una volta, senza la minima prova, il minimo documento, solo sulla base di elucubrazioni e ipotesi senza fondamento). L'arresto avvenne purtroppo anche in conseguenza dell'analisi sbagliata sulla fase che il fascismo stava attraversando. E' vero che era stata predisposta una rete per l'espatrio clandestino in Svizzera di vari dirigenti comunisti, tra cui Gramsci, che forse doveva compiere questo passo proprio dopo la riunione di Valpolcevere a cui non poté partecipare per la sorveglianza poliziesca che preluse all'arresto. Resta il fatto che appare sconcertante come all'inizio di ottobre il Direttivo del partito comunista indicasse ancora agli iscritti e militanti, come obiettivi, l' "Assemblea repubblicana sulla base di comitati operai e contadini", il "controllo operaio dell'industria", la "terra ai contadini", e insistesse nei distinguo tra le varie forze dell'antifascismo, polemizzando in modo particolarmente settario con i socialisti. Alla immediata vigilia del definitivo instaurarsi della dittatura mussoliniana! Illusioni e abbagli politici, dunque, sulla fase, impedirono di fatto di predisporre davvero il Pcd'I alla clandestinità, costituendo un "centro estero" del partito e facendo espatriare per tempo Gramsci.
Un altro nodo di grande interesse riguarda gli anni del carcere. E' nata negli anni ottanta - nell'ambito della campagna politico-storiografica craxiana contro il Pci - la tesi di un complotto di Togliatti per far restare Gramsci in carcere: il primo sarebbe dunque stato il "carnefice" del secondo, facendo fallire i tentativi di liberazione del compagno o non esercitando le pressioni possibili per pervenire a una sua liberazione. Si ebbe così un triste quanto immotivato rovesciamento delle responsabilità: Gramsci non sarebbe stato imprigionato e ucciso da Mussolini e dal fascismo, ma da Togliatti e da Stalin! Successivamente questa tesi non fu ripresa solo dalla pubblicistica di destra (quasi sempre di nessuno spessore culturale e storiografico), ma anche a sinistra, da studiosi anche di indubitabile onestà intellettuale, ma posseduti da un antitogliattismo ormai di maniera, che li ha portati a lasciarsi andare a giudizi drastici, anche qui non supportati da alcuna prova, ma basati solo su congetture e ipotesi maliziose (la polemica di Pistillo è soprattutto nei confronti di Aldo Natoli). Benché molti studiosi, sia pure in modi e forme diverse (dopo precursori come Ernesto Ragionieri e, soprattutto, Paolo Spriano, lo stesso Pistillo, e Luciano Canfora, Giuseppe Fiori, Claudio Natoli, Giuseppe Vacca), abbiano a più riprese già mostrato l'infondatezza di questo o quell'aspetto della "campagna" storiografica contro Togliatti e il gruppo dirigente comunista che ebbe la fortuna di salvarsi dalle carceri fasciste, periodicamente si torna a battere su questi argomenti, anche in assenza di nuovo materiale documentario e archivistico.
In questo quadro, Pistillo ha il merito di smontare alcuni "luoghi comuni" (perché purtroppo tali oramai sono diventati), ripetendo ancora una volta (repetita iuvant!) come, ad esempio, la celebre lettera di Grieco del 1928 non sia stata messa neanche agli atti del "processone" che condannò Gramsci, e non ebbe dunque alcun ruolo in questo senso; come le campagne di solidarietà e gli aiuti al prigioniero non vennero in realtà mai meno; come i tentativi di liberazione furono seriamente condotti, anche con errori e carenze, naufragando per la personale e irrinunciabile opposizione di Mussolini; come la situazione famigliare degli Schucht e il quadro clinico della moglie di Gramsci fossero contrassegnati da problemi di varia natura, con cui la polizia segreta sovietica centrava poco o nulla; come Gramsci negli ultimi giorni esprimesse il desiderio di tornare in Unione Sovietica e Sraffa approntasse una domanda in tal senso, ecc.
Repetita iuvant? A volte sembra questo lo slogan proprio della pubblicistica, più o meno seria, di orientamento "anticomunista", più vicina alla propaganda che al dibattito. E' chiaro che in quest'ottica ogni ragionamento è destinato a restare inascoltato. Per il resto, il dibattito prosegue, come è giusto che sia, e questo libro di Pistillo offre un contributo sicuramente interessante.