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I PRISMI DI GRAMSCI. LA FORMULA POLITICA DEL FRONTO UNICO (1919-1926) - DEL ROIO

Marcos Del Roio, I prismi di Gramsci. La formula politica del fronte unico (1919-1926), Napoli, La Città del Sole, 2010, pp. 336, 20 €.

Gramsci tra fronte unico e spirito di scissione

Di Danilo Ruggieri

Chi sono i protagonisti di questo libro, a un tempo serio e piacevole? Ce lo dice subito un risvolto di copertina che gioca un po' con la "detective story", presentando i "protagonisti" del lavoro di Filippini come fossero altrettanti personaggi di un giallo di Maigret o Poirot in edizione popolare. Leggiamo l'elenco: «Antonio Gramsci, il protagonista. Partha Chatterjee, l'indiano che ascolta i subalterni. John Fonte, l'uomo del think tank. Ranajit Guha, il decano degli storici indiani radicali. Stuart Hall, l'inglese-giamaicano che studia i fenomeni culturali. Rush Limbaugh, il conservatore con l'audience più alta. James Thornton, il predicatore pazzo. Cornel West, l'intellettuale

afroamericano cristiano e marxista. Raymond Williams, il gallese che conosce la cultura popolare».
A un lettore informato basta questo elenco per capire "l'operazione Filippini": frugare nella cultura di massa come nei più seri "pensatoi" della destra e della sinistra in giro per il mondo, per studiare come sia "usato" oggi il pensiero di Gramsci in luoghi e tempi così lontani da quelli in cui nacque.
I conservatori statunitense e la scuola degli "studi culturali" di Birmingham, il predicatore che è anche filosofo pragmatista nelle più prestigiose università statunitensi e la storiografia progressista indiana. Si va dagli studi sul razzismo all'analisi del thatcherismo; dalla paura dell'egemonia da parte della destra made in Usa all'applicazione creativa delle note sul Risorgimento alla situazione dell'India postcoloniale.
Molti gli spunti di grande interesse e i siparietti più che godibili, che sposano l'analisi profonda di autori di grande levatura a quella della cultura "bassa" o presunta tale, dall'hip hop al cinema, in linea con l'obiettivo di alcuni dei protagonisti del libro, che è quello di «modificare il senso comune partendo proprio dalla cultura popolare» e, a volte, dallo «spirito popolare creativo». I quattro capitoli in cui il libro è suddiviso prende in considerazione quattro diverse aree geoculturali. Nel primo «il tema è quello della politicità della cultura popolare, non più intesa nella forma primonovecentesca che analizzava Gramsci, come immaginario popolare delle masse subalterne strette tra regionalismi e romanzi d'appendice, ma come viene aggiornata al livello della cultura pop contemporanea negli Usa da uno dei più importanti intellettuali afroamericani», Cornel West. Il secondo capitolo si sofferma sul Gramsci dei cultural studies, in particolare sui due maggiori rappresentanti della "scuola di Birmingham", Raymond Williams e Stuart Hall, e anche sulle differenze di accento, di interessi, di interpretazioni che esistono tra questi due autori. Il terzo capitolo ricostruisce come la storiografia indiana e in generale i subaltern studies hanno contribuito in modo decisivo a portare alla ribalta la categoria gramsciana di «subalterni» e hanno ripercorso la dialettica Mazzini/Cavour per spiegare il rapporto Gahndi/Nehru. Infine, l'ultimo capitolo è sulla lettura di Gramsci «paranoica» avanzata della destra fondamentalista e dei neocons statunitensi, ossessionati dalla paura che la sinistra stia gramscianamente assumendo il controllo degli apparati culturali per conquistare così subdolamente il potere. È un libro " come lo stesso autore specifica " più sugli "usi" di Gramsci che su alcune sue convincenti letture: siamo più dalle parti della politica o della sociologia della cultura che della filologia gramsciana. Ma vi è in Filippini la convinzione che «questo proliferare di usi segnali un nocciolo duro, persistente dell'eredità gramsciana, che si riproduce in forme mutevoli ma che coglie alcune delle contraddizioni centrali del nostro tempo». Egli aggiunge: «L'ipotesi di fondo di questo libro è che questa sia la strada giusta da seguire, rintracciando quale sia in ogni lettura il solido ancoraggio al testo gramsciano che permette di riformulare in termini nuovi qualcosa che lì era già presente».
In molti degli autori presi in esame da Filippini troviamo dunque un "uso" della lezione gramsciana che " almeno in alcuni casi " non sarebbe dispiaciuto al comunista sardo. E dovremmo essere in grado anche noi italiani di imitare questo uso creativo di Gramsci, più che fermarci " come spesso avviene " a un versante puramente filologico e interpretativo. Va però anche detto che " se e nella misura in cui si ritiene importante la lezione di Gramsci " una giusta comprensione del suo pensiero non può che essere alla base anche di un suo uso non puramente evocatvo. E tale comprensione non può che nascere anche dallo studio sia del testo che del contesto di Gramsci. Né vanno perse " come spesso fanno gli autori studiati da Filippini " le coordinate di fondo dell'autore dei Quaderni e gli obiettivi della battaglia gramsciana: una lettura della realtà in termini non solo di differenze tra culture ma di differenze tra classi (e di lotta di classe) e l'obiettivo del superamento della società capitalistica.