Rassegna Stampa

IL "DIZIONARIO GRAMSCIANO (1926-1937)" - GUARNERI

Dizionario gramsciano 1926-1937 
Acura di G. Liguori e P. Voza, Carocci, 2009.
 
di Enrico Guarneri

Si tratta di un’opera imponente che merita ampiamente l’investimento rappresentato dal suo costo non indifferente (85 euro). I curatori sono autorevoli. Pasquale Voza ha scritto Gramsci e la continua crisi (Carocci); Guido Liguori ha scritto Sentieri gramsciani (Carocci), Le parole di Gramsci (con Fabio Frosini, Carocci). Guida alla lettura di Gramsci (con Chiara Meta, Unicopli). Molti i collaboratori: impossibile dare qui la loro lista completa, ma rappresentano il panorama completo del gramscismo italiano e non solo.
Il precedente volume di Liguori e Frosini, Le parole di Gramsci aveva già affrontato il problema del linguaggio e dei temi gramsciani, ma da una prospettiva diversa. In quel volume la scelta delle parole era stata determinata dall’intenzione di tracciare un profilo orientato, essenziale, “leggibile”, del pensiero dell’autore. Qui ci troviamo al cospetto di una imponente rassegna del lessico e dell’espressione gramsciana in tutta la sua estensione che si presenta come un ponderoso sussidio per lo studio dei Quaderni, e, attraverso questi, per la ricostruzione complessiva del pensiero di Gramsci. I rimandi testuali del Dizionario si riferiscono sempre al testo dell’edizione Gerratana ed all’apparato critico del medesimo. 
 
Nella prefazione si afferma che la scrittura di G. ha carattere mobile, aperto, antidogmatico. In sostanza le tre determinazioni indicate dai curatori dicono la medesima cosa. Il pensiero di Gramsci è aperto nel senso che egli tende ad affrontare qualsiasi possibile questione - ovviamente all’interno dei principi (marxisti) su cui il suo pensiero si fonda; è antidogmatico nel senso che intende il marxismo non come sistema di verità assolute ed immutabili, ma come metodo di interpretazione di una realtà continuamente mutevole, capace di accogliere qualsiasi apporto conoscitivo da qualunque parte provenga: é mobile nel senso che ricava da quei principi ciò che li rende adatti all’analisi delle più diverse questioni. 
Per questo è prezioso il criterio a cui si attengono i redattori del Dizionario, che è quella di dare, voce per voce, e quindi tema per tema, “anche” una interpretazione del pensiero gramsciano selezionando il materiale, ordinandolo e ponendolo in una gerarchia significativa, attenendosi cioè alla fondamentale raccomandazione rilasciata dallo stesso Gramsci, che cioè, “nella decifrazione di ‘una concezione del mondo’ non ‘esposta sistematicamente’, ‘la ricerca del leit motiv, del ritmo del pensiero in sviluppo, deve essere più importante delle singole affermazioni [...] e degli aforismi staccati’” (pag. 6 della Prefazione, originariamente in Q. 16, 2, 1840-2). Entrambe le edizioni del Quaderni presentano, infatti dei rischi. La “sistemazione” di Platone, storicamente meritoria, presenta quello di sovrapporre al pensiero ed alle intenzioni di Gramsci quelle dei curatori (sul problema v. Togliatti editore di Gramsci a cura di Chiara Daniele, pubblicato dallo stesso Caroccci). La edizione “critica” di Gerratana d’altro canto, amata dai gramsciologi di professione e dalla critica filologica, è del tutto inutilizzabile ai fini della divulgazione e della formazione politica. In quel lavoro il pericolo sta addirittura nel rischio di perdere di vista - nonostante il ricco, dotto e preciso apparato di note - il carattere organico dei principi a cui Gramsci fa riferimento, il marxismo. 
 
Quella apertura antidogmatica e mobile è un carattere specifico del metodo marxista, che, proprio in quanto metodo, è applicazione sistematica ma “aperta” alle più diverse questioni. Nel marxismo “tutto si tiene” costituendo quella “concezione generale del mondo” a cui fa riferimento Gramsci stesso, e che, in ultima analisi, si fonda su tre principi metodologici che in Gramsci non vengono mai meno: il materialismo, lo storicismo e la dialettica. Principi a cui il Dizionario dedica ottime voci (sui riferimenti interni contenuti nelle stesse ritorno più avanti). In un certo, si potrebbe giungere ad affermate che la loro costante presenza rende fortemente sistematico il pensiero di Gramsci anche se esso non può e non deve essere ridotto a manuale. La a-sistematicità riguarda dunque esclusivamente la ”esposizione”, non l’ interna struttura teorica. 
La destinazione del Dizionario non è espositiva (come in parte “Le parole di Gramsci” cit.) ma “può o vuole essere strumento utile per accompagnare la riscoperta” del pensiero gramsciano. Da questo punto di vista l’opera rivela la sua insostituibilità nel permettere una lettura organica e approfondita dei Quaderni. E’ in questo senso, credo, che si debba leggere l’accenno esplicito all’edizione Gerratana, che è quella che offre difficoltà di lettura organica non superabili senza un ausilio di questo genere. Direi che nella versione Platone, la difficoltà sia minore, naturalmente a patto di dare per buona la sistemazione tematica tentata in quel primo (ed a mio parere, ottimo) approccio “divul-gativo”. 
 
Diciamo dunque che gli scopi di questa ponderosa impresa sono quattro: rendere conto dei problemi storici, culturali, filosofici, giornalistici sollevati da Gramsci; informare su autori, personaggi, movimenti a cui gli illimitati interessi gramsciani si rivolgono; schedare i significati letterali dei termini specifici della scrittura gramsciana traendoli dalle molteplici ricorrenze di cui è possibile seguire l’iter genetico attraverso la stratificazione dei testi; e infine enunciare in modo chiaro e sintetico il senso teorico generale dei concetti chiave del gramscismo (blocco storico, egemonia, nazionale-popolare etc.). 
La scelta di limitarsi agli scritti carcerari è per un verso condivisibile per un altro meno. È felice perchè gli scritti pre-carcerari vanno letti per quello che sono, critiche teatrali o scritti politici strettamente legati ad eventi politici, sindacali, sociali, contingenti, “militanti”, ed un contributo “filologico” (una edizione alla Gerratana per intenderci), avrebbe costitui-to una inutile e depistante civetteria universitaria. Naturalmente gli autori avvertono che “laddove (…) lo hanno ritenuto utile, sono stati fatti richiami anche a quanto Gramsci aveva scritto negli anni precedenti il carcere”. Ma questa scelta comporta la rinuncia a mostrare (e dimostrare) la continuità tra i due “Gram-sci”: l’organizzatore politico e rivoluzionario e il successivo pensatore prigioniero. In questo senso la descrizione che G. fa della struttura del partito politico mostra che questo è pensato come uno strumento di lotta politica tutt’ altro che conciliativa, dialogica e vincolata alle regole della democrazia parlamentare borghese. In realtà si tratta del partito rivoluzionario di Lenin adattato alla dimensione nazional-popolari della società politica italiana. La terminologia “militare” che usa è chiaramente indicativa, ed è attorno alla questione delle “proporzioni definite” fra gli elementi strutturali del partito che si articola la doppia definizione di “moderno Principe” e di “intellettuale collettivo”. Gramsci, insomma, nel carcere fascista è ancora e più che mai un dirigente “rivoluzionario” ed un organizzatore politico che avrebbe (forse!) condiviso il ”partito nuovo” di Togliatti ma solo come conseguenza dell’ opportunità di fase. Altrettanto va detto a proposito del concetto di “rivoluzione”, articolato in ben sei lemmi: rivoluzione, rivoluzionario, r. francese, r. passiva, r. permanente, rivoluzione-restaurazione. Per trovare quella di Lenin occorre cercare Lenin in cui i tema della rivoluzione d’Ottobre riceve solo un riferimento ellittico nel termine di egemonia, a cui occorre ulteriormente riferirsi. Ma si tratta di una circostanza non irrilevante per non conferire al tema ricorrente dell’egemonia un significato conciliatorio (se non sbaglio, da qualche parte definisce se stesso come “un rivoluzionario che non ha avuto fortuna”).
 
L’impianto del lavoro si fonda sulla ricerca puntuale di tutti i significati e le sfumature che i vari termini assumono nel corpus gramsciano. Prendo ad esempio la voce “egemonia” che affronta il concetto, forse, più complesso di Gramsci. Il termine è inseguito dalla prima “occorrenza” [Q. 1, 44, 41] all’ultima [Q. 29, 3, 2346]. Cospito, redattore della voce, a proposito dell’ampio ventaglio di significati che assume, parla di “oscillazione” (“fin dall’inizio G. oscilla… ecc.”). Il termine non mi sembra del tutto appropriato. Tutte le espressioni gramsciane sono imbevute di una molteplicità di significati che riflettono la complessità della situazione storica (sociale, culturale, politica) in cui le cose acquistano dimensione concretamente reale. In questo si esprime il “materialismo” storicistico di Gramsci, e la sua accezione del principio metodologico della dialettica. Il volto delle cose “appare” diverso a seconda del punto di vista specifico dal quale esse vengono prese in esa-me. Le apparenti oscillazioni, o addirittura contraddizioni, derivano proprio dalla complessità della realtà e dalle “contraddizioni” che la caratterizzano. 
Per Gramsci si pone una questione ermeneutica di grande rilevanza, la stessa che si pone per Marx, Lenin e pochissimi altri autori: Gramsci non è né un pragmatico né un teorico in quanto tale e i suoi scritti non sono né dottrine né analisi pratiche. Fra le due realtà non c’è distinzione. E non si tratta nemmeno di una semplice identificazione come sarebbe una applicazione al caso concreto di una teoria o la generalizzazione teorica di una constatazione di fatto. Si tratta di un vero e proprio cortocircuito per cui ognuna di queste determinazione è allo stesso tempo l’altra. Di conseguenza qualsiasi approccio tradizionale risulta più o meno insoddisfacente. È ovvio che non sempre in un dizionario si possano individuare direttamente i grandi percorsi di un pensatore. Da questo punto di vista lo strumento è il rinvio ad altre voci che conclude ogni lemma. Questi rinvii, però mi sembrano talvolta non del tutto soddisfacenti. Faccio tre esempi: la voce dialettica (di Prestipino) rinvia a materialismo storico e determinismo (dello stesso) e necessità (di Frosini), ma stranamente non a contraddizione né a qualità-quantità (entrambe ancora di Prestipino), né a struttura e sovrastruttura (entrambe di Cospito) che ne sono la massima espressione storica. Le due voci relative al materialismo non contengono il richiamo a dialettica. La voce storicismo (una parola chiave del lessico gramsciano) rinvia a materialismo storico, ma non a dialettica. Si perde così parte della connessione fra i tre elementi fondamentali del metodo marxista. Ne è riprova l’assenza del richiamo a dialettica nella voce praxis (in realtà su filosofia della p. di Dainotto) e persino in quella unità di teoria e pratica (Frosini).
 
A questo punto quello che ancora manca per la diffusione del pensiero carcerario gramsciano è una ampia antologia organica, ragionata (e non scolastica come quella di Santucci). Un’impresa del genere potrebbe avvicinarsi alle future sistemazioni a cui Gramsci accenna ripetutamente e di cui indica anche i criteri generalissimi. Per questo lavoro il dizionario di Liguori e Voza è un sussidio indispensabile.
 

"Cassandra", 29 aprile 2010

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