Cronache degli eventi gramsciani

Ricordo di Giuseppe Prestipino, militante gramsciano della IGS Italia

di
Guido Liguori
 
in occasione della
Giornata in onore di Giuseppe Prestipino
nel centesimo anniversario della nascita
1922-2022

prestipino


Giuseppe Prestipino è stato un maestro e un punto di riferimento per più di una generazione di studiosi, marxisti e gramsciani soprattutto, ma non solo.
È stato per me prima un intellettuale prestigioso a cui guardavo con profondo rispetto e anche con deferenza. Poi, avendolo conosciuto meglio, ho scoperto in lui il compagno-intellettuale che, senza alcuna superbia, era solito mettere la sua cultura a disposizione di quella causa comune che era per noi la ricerca e l’affermazione di una società socialista, più solidale, più giusta.
Infine, egli divenne un amico, soprattutto negli anni della IGS Italia, dunque verso la fine del secolo scorso – un quarto di secolo fa ormai.
Una conoscenza di lunga data, dunque, che proverò a rievocare solo limitatamente agli aspetti più pertinenti al tema che mi è stato assegnato: Giuseppe Prestipino, militante gramsciano della IGS Italia.

 

Ebbi la fortuna di conoscerlo a metà anni 80, a Botteghe Oscure, dove si era rifugiata la redazione di «Critica Marxista», lasciati a malincuore i locali della vicina piazza Grazioli per i problemi di risparmio che la casa editrice Editori Riuniti dovette mettere in atto, vista la contrazione del suo mercato librario dovuta a una ennesima – e forse più grave – “crisi del marxismo”, quella legata alla stagione del cosiddetto “riflusso”.
Prestipino si affacciava non frequentemente nella stanzetta della redazione – e di «Critica Marxista» (voglio ricordarlo en passant) era stato a sua volta redattore, a cavallo dell’inizio degli anni 70, quando era direttore Emilio Sereni.
Veniva per portare il dattiloscritto di un articolo, di un saggio (non era allora diffuso internet, e neanche il personal computer), o per chiedere non ricordo quale periodica dichiarazione, che potesse agevolarlo nei suoi continui viaggi in macchina e in autostrada per e da Siena, dove insegnava.
Ricordo ancora che anche alle riunioni del Comitato di redazione della rivista partecipava sempre, ma un po’ in punta di piedi – come era nel suo stile – intervenendo con la sua voce bassa ed educata, e ascoltando gli altri spesso con un sorriso dipinto in volto – un po’ scettico, ma mai irridente.
Partecipò anche – permettetemi di aggiungerlo, visto che ho nominato la vecchia sede della Direzione del PCI – alla lunga battaglia per impedire lo scioglimento del Partito (o, se si preferisce, al suo cambio di nome), ipotesi rispetto alla quale egli fu sempre drasticamente contrario.
Quando il PCI ebbe termine, Prestipino però non seguì – almeno così mi pare – dirigenti come Tortorella e Ingrao – ai quali era allora più vicino come impostazione politico-culturale – nella loro decisione di restare almeno per qualche anno ancora nel neonato PDS. Fu però da subito con la “nuova serie” di «Critica Marxista», nata nel 1992, alla morte del vecchio partito, continuando a scrivervi periodicamente e a partecipare al suo Comitato direttivo con impegno.
E del resto la rivista – diretta da quel momento in poi da Tortorella e Zanardo – era aperta a tutto il pensiero critico anticapitalistico, senza barriere settarie o dogmatiche.
Non so dire se Prestipino aderì a Rifondazione Comunista subito o dopo qualche anno: posso però testimoniare che a questo partito fu sostanzialmente legato in definitiva per il resto della sua vita attiva.
Ma soprattutto il ricordo che ho più nitido di Giuseppe in quella parte centrale dei primi anni 90 (quando ancora lo frequentavo soprattutto sui libri e sulle riviste a cui collaborava) è un altro: finito il Pci, fu come se Prestipino si fosse tolto una corazza – portata per libera scelta e con impegno, ma pur sempre una corazza.
Una corazza non voglio dire di ortodossia marxista – che pure forse c’era stata in stagioni precedenti. Ma quanto meno di grande prudenza nel maneggiare gli strumenti teorici e culturali della “battaglia delle idee” e della “lotta per l’egemonia”.
Finito il PCI, Prestipino divenne invece un “ardito” del pensiero marxista (lo dico un po’ scherzando, ovviamente, perché l’estetica dell’ardito non gli era propria). Per meglio dire, divenne un esploratore di nuovi territori.
Sembrava ringiovanito. Anche nella sua vita privata e amorosa, se mi è consentito dire. Ma pure nella ricerca teorica – che poi era anche quello un suo grande amore.
Ad esempio nel campo del felice connubio tra marxismo ed ecologismo, di cui fu in quegli anni uno dei più convinti protagonisti – quando forse ancora non era del tutto di moda esserlo, almeno in Italia.
Ma più in generale in tutto il suo interrogare Marx ed Engels – senza più eccessiva soggezione e riverenza, convinto che nel momento grave o comunque di svolta che allora attraversava tutto il movimento operaio e comunista bisognasse cercare nella teoria nuovi spunti, nuovi motivi. E avere grande capacità di «traduzione». Cioè saper tradurre il pensiero dei classici per renderlo fecondo nei giorni nostri.
Fu così anche nell’interrogazione di Gramsci, dove avanzò con grande serietà, ma anche guidato spesso, direi, da una ricerca molto “politica” o politicamente orientata – come ha ricordato Lelio La Porta: un Gramsci che doveva servire alla “causa”, qui e ora.

 

***

Il rapporto forte con la IGS Italia – nata a metà anni ’90 per impulso soprattutto di Aldo Tortorella e Giorgio Baratta – sorse negli anni del passaggio «da un secolo all’altro», per citare Labriola.
Soprattutto – mi pare – quando iniziammo il lungo e fruttuoso Seminario sul lessico dei Quaderni, in cui tutti allora ci impegnammo per anni, stipati nella bella saletta delle riunioni al secondo piano del Dipartimento di Filosofia di Roma Tre, intorno a un grande tavolo ovale, che ci sembrava l’ideale per il significato che davamo al termine “seminario”, per squadernare cioè i testi gramsciani e leggerli a volte rigo per rigo, parola per parola.
Interminabili discussioni, sempre a partire da una relazione e due discussant. Dove il gioco consisteva soprattutto nell’esercizio della critica, a volte impietosa, nei confronti del relatore di turno, per cercare di evidenziarne i punti deboli ma soprattutto per cogliere con il contributo di tutte e di tutti il nocciolo del pensiero depositato nei Quaderni.
Sedute seminariali che non duravano mai meno di 4 ore, spesso 5. E poi si andava a cenare tutti insieme nel grande ristorante-pizzeria calabrese di via Ostiense, a due passi dalla struttura universitaria che ci ospitava.
Ma raramente Prestipino si tratteneva a cena con noi, come avrebbe voluto: correva spesso a prendere il treno che lo avrebbe portato a Civitavecchia, dove i casi della vita e le ragioni del cuore lo avevano portato a vivere.
In questi seminari, in cui si susseguivano molti interventi di studiosi illustri e meno noti, di tranquilli pensionati e inquieti giovani ancora senza lavoro, neanche tutti gramsciani o gramscisti, i contributi di Prestipino erano seguiti con grande attenzione.
La sua competenza era indiscussa, come la sua autorevolezza.
La sua capacità ermeneutica non era disgiunta a volte da una certa sorprendente vena creativa.
La relazione che egli tenne in quell’ambito fu sulla Dialettica, ed è consegnata al libro che raccolse le relazioni (riviste alla luce del dibattito) dei primi 13 seminari, volume che curammo Fabio Frosini e io e che uscì presso Carocci col titolo Le parole di Gramsci. Per un lessico dei Quaderni del carcere – un titolo che bene descriveva il nostro lavoro collettivo di allora.

***

Dai primi anni del 2000 Giuseppe fu sempre molto partecipe alla vita della IGS Italia. Fece a lungo parte del Direttivo. Prese sempre parte ai Seminari come ai nostri convegno internazionali.
Scrisse molte voci per il Dizionario gramsciano, come è stato ricordato. Libro, anzi librone, che pure dal Seminario sul lessico dei Quaderni traeva origine. Portando egli sempre – con un atteggiamento quant’altri mai collaborativo e senza alcuna postura vanesia – il suo contributo fatto di competenza, serietà e studio.
Quando nel 2010 scomparve Giorgio Baratta – al termine di una lunga malattia – pensammo a lui come nuovo presidente della IGS Italia. Cercai di convincerlo in tutti i modi. Ma non vi fu verso. Non volle accettare, schernendosi dietro l’età non più giovanissima, dietro il fatto che non abitava più a Roma ma a Civitavecchia, e per l’impegno con il Centro per la filosofia italiana.
Ma fu sempre con noi. Mentre scriveva i suoi libri e curava le sue antologie (a volte con Lelio La Porta), i suoi saggi, i suoi interventi politici appassionati, egli fu sempre anche con noi, ai nostri seminari, ai nostri incontri, alle nostre discussioni interminabili. E sempre disponibile a pensare nuove imprese collettive, a discuterle coi più anziani e coi più giovani, senza differenze, con la stessa disponibilità e cortesia.

***

E venne poi il tempo che toccò a noi prendere il treno.
L’età e qualche guaio di salute (e anche una crescente sordità, che non volle combattere con le moderne tecnologie, verso cui pure era in genere ben disposto) man mano gli permisero sempre meno di lasciare la sua casa di Civitavecchia.
Iniziammo noi a venirlo a trovare, qui a Civitavecchia. Noi della IGS Italia, in diversi. Di sicuro ogni 1° maggio, giorno emblematico del suo compleanno, ma non solo.
Ricordo le tante chiacchiere nel suo salotto, di fronte alle finestre che davano sul mare. Mezzi morti di caldo, a volte, perché come spesso gli anziani era freddoloso. A parlare di ricordi, di Gramsci, soprattutto di politica. Come del resto era per Gerratana – suo antico amico e compagno e conterraneo, che visitavo nella sua casa di Monte Mario, quando raramente la lasciava.
A loro, vecchi comunisti, sembrava che la politica fosse la cosa più importante e interessante. Per Giuseppe lo era, almeno fino a quando, nell’ultimissima sua stagione, non iniziò a riempire le giornate soprattutto con la rilettura degli amatissimi classici della Weltliteratur – ma nelle edizioni o versioni trovate on line e lette sul computer. Anche perché quasi tutti i suoi libri li aveva donati, destinandoli soprattutto a biblioteche e centri di ricerca.

***

Gli ho voluto bene. Gli abbiamo voluto bene, in molti: lo abbiamo stimato, abbiamo imparato da lui molte cose.
In primo luogo, direi, uno stile di vita e di lavoro, e di rapporto con gli altri e con se stesso.
Per questo ci manca. E il 1° maggio – anch’esso – non è più e non sarà più quello di una volta.